Oggi più che mai vivo con ogni parte di me stessa questo giorno di memoria di quanti sono stati strappati via da artigli invisibili, dalla sottilissima polvere d’amianto così come dalle meschine logiche di un folle profitto che si è letteralmente mangiato quanti hanno contribuito a farlo accrescere o ha divorato chi, per sua sfortuna e spesso a sua insaputa, si è trovato invischiato in un disastro ambientale, sociale e personale dal quale non s’è potuto fuggire.

Oggi si ricordano uomini e donne strappati via, troppo presto e ingiustamente, dai loro affetti, dai loro sogni, dalle possibilità straordinarie di vivere ancora nuovi, meravigliosi incontri.

Non conta l’età, la provenienza, l’entità del disastro.

In Italia ogni anno muoiono più di tremila persone a causa dell’amianto.

Questi numeri, per chi resta, rappresentano un vuoto incolmabile, legami insostituibili.

Ricordare non è facile. Ricordare fa male, richiama alla mente dolore e senso d’impotenza dinanzi a malattie logoranti come quelle asbesto-correlate che ti soffocano e ti tolgono il respiro.

Chi ricorda, nonostante la sofferenza che inevitabilmente torna ad attanagliare, non deve essere lasciato solo.

Chi ricorda per denunciare l’ingiustizia subita, va ascoltato.

Chi ricorda per cercare di costruire dalle macerie qualcosa di bello, va aiutato e spronato ad andare avanti.

La morte di una persona che amiamo ci destabilizza, ci priva di qualcosa che per noi era preziosa.

La consapevolezza che a portarcela via siano state delle cause ben precise, legate alla lavorazione criminale dell’amianto, può condizionare i percorsi intrapresi da chi resta per mantenere saldo un legame con chi, irrimediabilmente, non è più con noi.

Oggi io ricordo la dignità di chi ancora indossa la tuta blu per denunciare la violenza subita; ricordo gli occhi pieni di lacrime di una sorella; l’amore di una donna la cui voce è ancora rotta dai singhiozzi per aver perso il marito oltre vent’anni fa; gli occhi spenti di chi non ce la fa più a sopportare il vuoto lasciato dalla perdita di un numero spietato di propri cari, a causa dell’amianto.

Oggi io ricordo il dolore di chi resta. Un dolore inconsolabile. Un dolore che non conosce prescrizione. Un dolore che non si dà pace, ma che grazie alla forza e alla tenacia di uomini e donne, non si esaurisce nel privato ma sfocia nelle diverse forme di lotte civili e di denuncia della pericolosità dell’amianto. Tuttavia, la lotta non allevia il dolore intimo, privato, che logora.

Oggi io ricordo i troppi che non ci sono più e abbraccio chi lotta, nonostante, anzi proprio a partire dalla sofferenza che si continua a patire nelle diverse città, quartieri, e corsie d’ospedale.

Abbraccio te, Lillo, e abbraccio Mariuccia, Giuliana, Linda, Romana e i tanti altri che ho avuto l’onore di incontrare e attraverso i quali ho potuto conoscere chi a causa dell’amianto non c’è più, ma che continua ad essere costantemente presente in atti e parole d’amore che vanno al di là della sfera privata. La mia speranza ed il mio sostegno sono rivolti a queste lotte, quotidiane, private e collettive, perché possano attraversare le distanze più lontane.

 

Con affetto,

Agata Mazzeo

Amsterdam, 28 aprile 2013

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