Abbiamo chiesto ad uno dei ricercatori più impegnati il Dr. Luciano Mutti Presidente del Gime (Gruppo Italiano Mesotelioma) di fare un rapido excursus sulla malattia e lo stato dell’arte della ricerca sul mesotelioma tutto ciò affinchè questa malattia diventi sempre più curabile.
Le proprietà dell’amianto sono note fin dai tempi delle più antiche civiltà che ne hanno sempre fatto largo uso.
Plinio il vecchio riportò la circostanza per cui gli schiavi assegnati al lavoro nelle miniere di amianto avevano problemi di salute assai più frequentemente degli altri schiavi.
La prima evidenza di due stati patologici assai probabilmente riconducibili al mesotelioma avvenne nel 1769, attribuita al medico francese Joseph Lieutad che praticò 3000 autopsie (fig 1) mentre a E. Wagner nel 1870 viene attribuita la prima definizione di mesotelioma maligno come entità patologica distinta.
La rivoluzione industriale portò ad un grande aumento dell’utilizzo dell’ amianto nel corso del 18° e 19° secolo massicciamente utilizzato nelle macchine a vapore, fulcro tecnologico di quella rivoluzione.
Eppure l’esistenza del mesotelioma pleurico fu posta in dubbio sino agli inizi del 19° secolo quando qualche relazione tra i danni alla salute e l’esposizione di fibre di amianto divenne progressivamente più evidente.
Purtroppo quegli anni vedevano la grande prevalenza delle Tubercolosi come principale malattia respiratoria e la conseguente fibrosi polmonare e pleurica confuse a lungo i medici che in corso delle autopsie interpretavano come cicatrici tubercolari le fibrosi pleuropolmonari da asbesto e lo stesso mesotelioma.
Solo nel 1930 si cominciò a correlare casi di fibrosi polmonari con l’esposizione ad amianto.
Purtroppo col passare degli anni, con lo scoppio delle due guerre mondiali, la richiesta e l’utilizzo di amianto aumentarono vertiginosamente.
L’amianto fu utilizzato massicciamente nelle navi, negli edifici e nella quasi totalità delle armi utilizzate in quegli anni.
Da qui cominciò un progressivo, sempre più esteso utilizzo civile di amianto: edifici pubblici (scuole ad esempio ) e privati e in un’ ampia gamma di oggetti d’uso comune.
Eppure solo nel 1960 Wagner e collaboratori riportarono 47 casi di mesotelioma osservati nel corso dei cinque anni precedenti in una parte del Sud Africa dove esistevano piccole aziende che trattavano amianto.
Molti dei deceduti avevano avuto una esposizione ad amianto di tipo professionale (tra questi un ferroviere) molti anni prima; alcuni avevano giocato da bambini su cumuli di amianto depositati nei pressi delle aziende, uno era vissuto nelle immediate vicinanze di una fabbrica che utilizzava l’ asbesto.
Il 1965 costituisce comunque la data in cui la comunità scientifica internazionale suggellò definitivamente l’ esistenza di effetti cancerogenetici dell’ amianto: infatti nel 1965 furono pubblicati pubblicati gli atti della Conferenza organizzata nel 1964 dalla New York Academy of Sciences sugli effetti biologici dell’ asbesto. ( Annals of New York Academy of Sciences 1965)
Nel frattempo, purtroppo negli Stati Uniti, si stima che tra il 1940 ed il 1979 27.5 milioni di persone furono esposte alle fibre di amianto per motivi lavorativi.Ora ci troviamo quindi ad affrontare quella che è stata definita “Epidemia Europea di Mesotelioma pleurico; J. Peto, 1999) con pochissime arme efficaci dovute ad una troppo incompleta conoscenza dei meccanismi biomolecolari che determinano la comparsa e lo sviluppo di questa neoplasia.
Proprio queste conoscenze hanno, invece, permesso grandi passi avanti nella terapia di altri tumori (come quelli della mammella, del colon, dell’apparato urinario e delle leucemie/linfomi) di cui una significativa parte è attualmente trattata con farmaci che inibiscono meccanismi molecolari scoperti soprattutto negli ultimi 15 anni.
Non c’è quindi dubbio come le stesse conoscenze vadano rapidamente acquisite anche sui meccanismi biomolecolari dei tumori da amianto ed in particolare del Mesotelioma Pleurico. Unico strumento per raggiungere lo scopo di disegnare nuove più efficaci terapie , Insomma, ci troviamo di fronte ad una grande sfida per la ricerca.
I principi che hanno condotto la ricerca del nostro gruppo come degli altri teams di ricerca sul Mesotelioma nel mondo sono stati in gran parte mutuati dai filoni di ricerca precedentemente condotti per lo studio di neoplasie a maggior incidenza e stanno lentamente l’ampio divario di conoscenze tra il Mesotelioma pleurico (in particolare) e gli altri tumori.
In particolare ci siamo concentrati sullo studio di come aumentare la sensibilità delle cellule tumorali di Mesotelioma ai più comuni farmaci antitumorali usati per questa neoplasia e a come ridurre o eliminare la caratteristica resistenza di tutte le cellule tumorali (in particolare in quelle di Mesotelioma) alla morte cellulare (necrosi) o alla morte cellulare programmata (apoptosi).
Per comprendere meglio queste caratteristiche considerate come validi bersagli terapeutici occorre qui ricordare i meccanismi più accreditati come responsabili della trasformazione delle cellule pleuriche normali in cellule di mesotelioma (cellule mesoteliali)
Le fibre di amianto esercitano la loro capacita’ di cancerogenesi essenzialmente attraverso tre principali meccanismi:
a) Rottura dei cromosomi con azione meccanica che porta ad un radicale stabile mutamento dell’ “assetto” genico delle cellule mesoteliali per cui queste cellule finiscono con l’esprimere più geni che portano all’ aumentata proliferazione e alla resistenza agli stimolo normalmente in grado di uccidere le cellule.
b) Danno genetico dovuto allo stress ossidativo legato al ferro contenuto nelle fibre di amianto. Questo tipo di danno ossidativo conduce ad una anormale espressione genica analogamente all’azione meccanica descritta precedentemente.
c) Proliferazione delle cellule mesoteliali danneggiate che favorisce la selezione di cellule mesoteliali anormali, resistenti agli stimoli tossici e che rappresentano il primo passo verso la lor trasformazione in cellule tumorali.
d) La capacità da parte delle fibre di asbesto di indurre fattori di crescita con l’attivazione di specifici segnali biochimici di resistenza alla necrosi ed all’apoptosi rappresentano un ulteriore, cruciale meccanismo di trasformazione neoplastica delle cellule mesoteliali (Fig 2)
Da queste considerazioni generali sui meccanismi di cancerogenesi è facile comprendere come la nostra attenzione si sia concentrata sui segnali biochimici considerati in grado di aumentare la resistenze delle cellule agli stimoli tossici e di favorirne, come evento, finale la comparsa di cellule neoplastiche attraverso lo stato di cellule trasformate dall’ esposizione ad amianto. La “trasformazione” quindi, come stato intermedio che prelude, attraverso la progressiva acquisizione di resistenza alla morte cellulare, alla formazione di cellule tumorali indotte dall’ esposizione all’amianto.
Risalgono a circa 10 anni fa i nostri primi dati che ci hanno indotto a concentrarsi sul rilascio dei fattori di crescita e l’attivazione dei relativi segnali biochimici come un meccanismo cruciale nella cancerogenesi del Mesotelioma.
Nel 2001 il nostro gruppo pubblicò infatti il primo articolo sulla prestigiosa rivista Proceedings of National Academy of Science (PNAS) su una serie di esperimenti che dimostravano come in un modello di co-cancerogenesi virus/amianto, le cellule mesoteliali e di mesotelioma producevano elevate quantità di fattore di crescita chiamato Hepatocyte Growth Factor (HGF) ben noto come in grado di contribuire alla sopravvivenza delle cellule esposte a stimoli tossici di varia natura.
A questo primo lavoro che apriva nuove prospettive verso lo studio dei segnali biochimici indotti dai fattori di crescita nella comparsa e progressione del Mesotelioma pleurico.
In particolare da alcuni anni proprio lo studio del segnale proliferativo si è progressivamente sviluppato ed è stato estensivamente studiato sia dal nostro che da altri gruppi nel mondo.
In particolare la nostra attenzione si è concentrata su segnali biochimici che vedono coinvolte alcune proteine la cui attivazione gioca un ruolo essenziale nell’aumentare la sopravvivenza delle cellule normali esposte ad agenti tossici e/o cancerogenetici
- PI3K/AKT. L’attivita di PI3K è ben nota come in grado di attivare una proteina definita AKT tra i quali principali effetti biologici viene considerata cruciale al capacità di conferire alle cellule maggiore resistenza agli stimoli tossici. L’attivazione di questa proteina è significativamente legata all’azione di HGF così come di altri fattori di crescita come il Platelet Derived Growth Facor (PDGF) ed il Vascular Endothelial Growth Factor (VEGF) il cui rilascio da parte delle cellule di Mesotelioma associata alla presenza dei rispettivi recettori sulle stesse cellule è stata ampiamente dimostrata (Fig 2)
La ricerca si è quindi concentrata sul ruolo di AKT sia nelle cellule mesoteliali coltivate sperimentalmente esposte ad amianto sia nelle cellule di Mesotelioma.
Sin dai primi esperimenti è risultato evidente come in effetti le fibre di amianto fossero in grado di indurre attivazione di AKT (Fig 3) e come questa attivazione fosse significativamente responsabile del processo di trasformazione e resistenza alla tossicità esercitata dalle fibre. Infatti l’ utilizzo di inibitori sperimentali di AKT era in grado di indurre nuovamente tale tossicità.
Quindi AKT è stata considerata una proteina chiave nel processo che porta alla selezione di cellule mesoteliali tumorali dopo esposizione a fibre di amianto.
Il passo successivo è stato quello di identificare un metodo potenzialmente applicabile nella pratica clinica che fosse in grado di indurre lo stesso effetto inibitorio di AKT nelle cellule di Mesotelioma.
L’attenzione si è quindi nuovamente concentrata sui fattori di crescita in grado di attivare AKT e sull’identificazione di specifici inibitori del loro effetto su questa proteina.
In particolare l’intensa espressione del recettore per PDGF (PDGFr) sulle cellule di mesotelioma ha suggerito l’utilizzo di uno specifico inibitore degli effetti biologici indotti dall’interazione tra PDGF e PDGFr.
La disponibilità sul mercato sul mercato un farmaco (il cui principio attivo è Imatinib Mesilato, nome commerciale, Gleevec®), in grado di interferire con il legame PDGF/PDGFR ha quindi indotto la ricerca ad testare quale effetto l’Imatinib fosse in grado di esercitare sull’ attivazione di AKT.
Si è così dimostrato come Imatinib Mesilato sia in grado di indurre selettiva inibizione dell’attivazione di AKT ed anche un assai significativo aumento della sensibilità ad alcuni farmaci chemioterapici come la Gemcitabina.
Questo insieme di dati in vitro ha quindi giustificato l’utilizzo del’associazione Gemcitabina/Imatinib anche su animali da esperimento cui era stato sperimentalmente indotto un mesotelioma umano.
Il trattamento di questi tumori sperimentali ha indotto un significativo miglioramento della sopravvivenza degli animali testati con una riduzione o stabilità delle dimensioni del tumore (Fig 5)
La logica conclusione di questi studi preclinici è stata quella di indurre il mondo scientifico ed il nostro gruppo a valutare la concreta possibilità che questi risultati potessero e dovessero essere testati anche sui pazienti con Mesotelioma.
Inizialmente sono stati trattati pazienti con malattia assai estesa e refrattari ad ogni precedente terapia nel’ambito di una somministrazione definita “compassionevole”.
La capacità del trattamento di indurre risposte assai significative sia in termini di riduzione della massa tumorale che di miglioramento della qualità di vita nonché la percezione che questi effetti si ripercuotessero anche su una più lunga sopravvivenza (Fig 6), ha infine indotto di iniziare un’ ulteriore sperimentazione clinica su pazienti selezionati tra quelli con una mancata risposta alla chemioterapia o ripresa di malattia dopo una prima risposta alla chemioterapia (purtroppo condizioni pressoché costanti nei pazienti con Mesotelioma).
Fig 2. Quando una popolazione di cellule mesoteliali è esposta alle fibre di amianto alcune di queste cellule diventano resistenti agli agenti tossici e vengono progressivamente trasformate ed indotte alla proliferazione inducendo la comparsa di cellule di mesotelioma.
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3 gg dall’esposizione 30 gg 60 gg
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Fig3
Fig 4. Imatinib Mesilato è in grado inibire selettivamente AKT nelle cellule di Mesotelioma (Thorax 2007)
Fig 5. Nei topi trattati il tumore inoculato si riduce di dimensioni (A, C, D) e gli animali trattati vivono + a lungo (B) (Cnical Cancer Research, 2008)
Fig 6. TAC/PET di una paziente trattata con Imatinib/Gemcitabina (in arancione la neoplasia)
A. Condizioni basali; B. Dopo trattamento
Altri studi finalizzati al’inibizione di altre proteine responsabili della sopravvivenza e progressiva trasformazione delle cellule mesoteliali sono state identificate Altri segnali
- Lo stesso metodo sperimentale utiizzato per AKT è stato utilizzato, ad esempio, per un altra proteina denominata Nuclear Factor KB (NFKB) la cui attivazione nelle cellule mesoteliali da parte delle fibre di asbesto e la spontanea attivazione in quelle di mesotelioma induce un’aumentata resistenza a stimoli tossici di vario tipo
L’inibizione della sua attività sia con un inibitore sperimentale utilizzato su colture cellulari di mesotelioma e successivamante con farmaco specifico il cui principio attivo è Bortezomib (Velcade®) hanno dimostrato un’intensa attività citotossica in vitro ed antitumorale in animali cui era stato indotto sperimentalmente il mesotelioma (Clinical Cancer Research, 2007)
Quindi, analogamente a quanto avvenuto per gli inbitori di AKT e Imatinib, anche Bortezomib è stato testato in un protocollo sperimentale a livello europeo per i pazienti con mesotelioma chemioreresistente o recidivato dopo la prima chemioterapia.
I risultati, sono attualmente in fase di pubblicazione e mostrano una significativa efficacia anche di questo trattamento.
Questo insieme di dati sperimentali rappresentano un eccitante modello di ricerca e terapia transazionale (dal laboratorio alla sperimentazione clinica) che nel mondo sta diventando l’approccio che sta cambiando tutto il nostro modo di studiare e curare le malattie ed in particolare il cancro.
La ricerca preclinica e clinica non consentono ancora di giungere alla definizione di nuove standardizzate terapie per il Mesotelioma ma i risultati ottenuti negli ultimi anni certo rappresentano ben più di un indizio che lo studio estensivo dei meccanismi molecolari cambierà la prognosi di questa neoplasia tristemente nota come essere assai aggressiva e resistente ai trattamenti chirurgici, radio- e chemio- terapici.
Rovesciando frasi prese in prestito diremmo “ottimismo della ragione”, non illusioni ma dati oggettivi che dimostrano che anche per questo cancro i passi avanti ci sono già stati e siamo in una nuova era del suo trattamento.
Riteniamo però opportuno chiudere con un invito che ci deriva da altri dati sperimentali.
L’amianto è stato largamente utilizzato nel nostro Paese. Per decenni.
La tragica storia esemplare dell’amianto è corsa spedita nel nostro paese fino al 1994 (anno di bando dell’amianto nel nostro paese), trenta anni dopo la prova provata della sua pericolosità.
Se sono stati necessari 30 anni per correre ai ripari nei confronti delle esposizioni lavorative quanti ne saranno necessari perché il legislatore consideri tutte le esposizioni (anche quelle minime e apparentemente occulte) come in grado di indurre neoplasie pleuropolmonari ?
Eppure le evidenze scientifiche in questo senso sono sempre più numerose ed inquietanti.
Non solo nei laboratori dove è evidente in modelli di cancerogenesi la pericolosità di basse concentrazioni di amianto per trasformare le cellule mesoteliali (le alte concentrazioni uccidono invece tutte le cellule senza trasformarle) ma anche casistica di pazienti ammalatisi di mesotelioma per esposizione minima più o meno prolungata .(Fig7)
Fig 7. Da Reggio Calabria ci giunge questa segnalazione di un Phon professionale costruito fino al 1991 e contenente asbesto (nella foto). Il barbiere che lo utilizzava è morto per un mesotelioma pleurico.
La ricerca deve curare le malattie ed il mesotelioma in particolare, ma anche indicare alle istituzioni come recepire le evidenze scientifiche per prevenire una lotta ancora difficile e dolorosa.
Su questo fronte c’ è forse ancor più da fare che nei nostri laboratori.
Luciano Mutti
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Buongiorno, prendendo spunto dall’articolo, molto interessante, sarebbe auspicabile se, in caso di esposizione occasionale a fibre di asbesto, si potessero eseguire esami mirati per rilevare la presenza dei segnali biochimici menzionati , prima dell’ insorgenza di patologie asbesto-correlate. Grazie per l’attenzione.