Pubblicato da admin il 20 Maggio 2011
Tutto cominciò il 10 giugno del 2005.
La scuola era appena finita  e quello era il primo giorno di vacanza di nostra  figlia, l’unica e amatissima figlia.
Era un venerdì stranamente piovoso per quel periodo.
Mio marito aveva la febbre, ma si offrì ugualmente di accompagnarmi  al lavoro. Rifiutai  e uscii di casa sotto la pioggia, agitata per il traffico mattutino.  Com’era  prevedibile non riuscii a trovare un parcheggio nemmeno a pagamento , così lasciai l’auto in doppia fila e salii in ufficio a firmare la presenza. Dopo dieci minuti ero di nuovo in macchina  e giravo  per un posteggio.
Mi fermai ad un incrocio col semaforo e la mia vita, la sua prospettiva, cambiò brutalmente e radicalmente.
Un ragazzo gentile e bello, dai tratti angelici, educato, mi tamponò. Ora, a distanza di due anni e sette mesi,  mi piace pensare che fosse un angelo mandato a salvarmi. O meglio, ad allungarmi la vita.
Al pronto soccorso trascorsi sei ore  tra radiografie alla colonna vertebrale , visite ortopediche e neurologiche. La diagnosi fu ‘colpo di frusta’ con dieci giorni di prognosi. Tornai finalmente  a casa, avevo davanti a me il sabato e la domenica per riposare.
Da tempo, tre anni circa,  soffrivo  di un dolore acuto e costante alla spalla destra, sotto la scapola, che non mi dava pace neanche di notte. Assumevo continuamente farmaci antinfiammatori per  garantire la mia presenza sul lavoro.
L’avevo detto più volte al medico, ma la mia richiesta di aiuto era  rimasta  sempre inascoltata. Anzi  una volta mi fu proposto  di prendere delle goccine calmanti. Il dottor R. non mi ha mai visitato, neanche  quando a febbraio mi prescrisse l’aerosol per una bronchitella  che mi accorciava il respiro.
Questo dolore in seguito al tamponamento si acuì.
Il lunedì successivo – 13 giugno – appena sveglia, presi la decisione di andare privatamente da un radiologo a cui spiegai l’accaduto.  Subito dispose una radiografia toracica che mise in evidenza il versamento pleurico. Mi ordinò di tornare al pronto soccorso immediatamente  con le sue lastre.
Qui, cominciò la via crucis. La mia e dei miei cari.
Fui subito sottoposta alla toracentesi per drenare il liquido che avevo .
L’operazione, svolta in medicheria e con una punturina di anestetico, fu dolorosissima e invasiva. Col bisturi mi fu praticato un taglio tra due costole dove penetrò fortemente  il dito del chirurgo per allargare il foro nel quale avrebbe introdotto il tubo di drenaggio. Il dolore fu immenso e mi  sentii violata nel mio corpo non più integro. Gridai. La notte in ospedale non passava mai e nonostante gli analgesici ero sfinita come dopo una battaglia. Non riuscivo a credere a ciò che mi era successo, a quel buco aperto nel torace col tubo che fuoriusciva collegato a un contenitore. 
La mattina successiva i medici del reparto cominciarono stranamente a interrogarmi sul quartiere dove abitavo e su quelli che avevo abitato  precedentemente, sui luoghi frequentati dalla nascita fino a quel giorno.
Io non capivo e non capii nemmeno quando nominarono la Fibronit, ex fabbrica dell’amianto chiusa ormai da diversi decenni.  Nessuno mi spiegò niente. Si concentrarono sul colore giallo del liquido drenato e mi dissero che se fosse stato rosso cioè ematico sarebbe stato meglio per me, sarei stata salva.
Fui impressionata ma non ricevetti altra spiegazione neanche nei giorni successivi. I medici erano evasivi anche con mio marito e ad ogni richiesta d’informazione rispondevano d’ interpellare  il primario che, quando c’era, era sempre occupato o in sala operatoria o con gli studenti di Medicina da esaminare.
Io cominciavo a capire che doveva essere qualcosa di grave e d’incurabile. Piangevo e pregavo, pensavo a mia figlia di dodici anni e intanto avevo sempre il tubo infilato nel torace che mi procurava dolore.
Fui sottoposta a toracoscopia per prelevare i tessuti da esaminare.
Dopo la sala operatoria fui letteralmente assediata dalla febbre.
Ricordo che quel giugno del 2005  fece un caldo bestiale, che  eravamo in cinque in una stanza e che i parenti  entravano numerosi a tutte le ore per sostare interi pomeriggi fino alle dieci di sera.
Nel corridoio altra gente seduta alle sedie che si sventolava e parlava ad alta voce delle malattie, quelle proprie, delle cognate, dei suoceri, dei vicini di casa, degli amici e degli amici di amici.
Tutto senza discrezione, ognuno col proprio dialetto in un clima di afa africana e io con la febbre alta.
Mio marito ogni volta mi portava il gelato,  io lo mangiavo lentamente per prolungare quel refrigerio. Ma ormai il mio pensiero era la diagnosi. Bisognava aspettare l’esame istologico.
Intanto i giorni passavano lenti. Io ero dentro dal 13 giugno e fui dimessa il 2 luglio. In questi diciannove giorni vidi morire due persone, entrambe di notte. Il reparto funzionava malissimo, sovraffollato e con gl’infermieri insufficienti e sempre scocciati.
Mi resi conto di essere stata dimessa quando mi ritrovai nell’aiuola antistante l’entrata del reparto. Il verde dell’erba mi sorprese piacevolmente, l’aria era leggera e finalmente sorrisi. Pensai: ‘comunque vada adesso sono fuori’.
Tornai finalmente a casa dimagrita di dieci chili.  Mia figlia non c’era. In tutto questo tempo era stata al mare ospite di un’amica e della sua famiglia.
Pubblicato da admin il 10 Maggio 2011

Entriamo nel centro di Casale Monferrato in questa mattina di fine aprile, il cielo coperto minaccia pioggia.
È il 28 Aprile 2011 – 6a Giornata mondiale delle Vittime dell’Amianto e noi facciamo parte della delegazione dell’Associazione Familiari Vittime Amianto della città di Bari, invitata da quella casalese a partecipare al convegno di lotta Un mondo senza amianto assieme a diverse altre delegazioni italiane ed estere (Messico, Stati Uniti, Brasile, Francia, Gran Bretagna, Spagna, Svizzera) di associazioni di familiari delle vittime dell’amianto, di esposti, rappresentanze sindacali, politiche, mediche e giuridiche esperte delle questioni legate all’amianto.
Ad ogni angolo di strada, da molti balconi, da molte vetrine sventolano le bandiere italiane issate a celebrare l’unità d’Italia che si sono unite a quelle per  lanciare il messaggio Eternit: giustizia. Giustizia in questa bella cittadina italiana martoriata da un terribile disastro umano e ambientale.
Non ero mai stata prima a Casale Monferrato.
Fa male ammirare la bellezza delle colline, dei canali, degli edifici: bellezza violentata dalla presenza inquietante e imponente dello stabilimento Eternit, a poche centinaia di metri dall’elegante Teatro Comunale e dalla Piazza del Castello.
Il teatro, così come ci appare oggi, è stato inaugurato nel 1791 e dai contemporanei fu considerato il miglior teatro del Regno di Sardegna, dopo quello di Torino.
Quando la sera risuonerà, nel buio, delle note del Dies Irae di Mozart, grazie alla performance che il Casale Coro, dall’alto del loggione, ha splendidamente eseguito e donato ai presenti prima della proiezione del film documentario  “Polvere”  Il grande processo dell’amianto di Niccolò Bruna e Andrea Prandstraller, per un momento, nonostante l’intensità del Dies Irae così drammaticamente contingente alle questioni affrontate durante tutto il giorno nello stesso luogo, mi sembra di trovarmi “semplicemente” in un bel teatro per seguire un’opera.
Ho dimenticato l’orrore dell’amianto e c’è solo la bellezza dell’arte. Ma è solo un attimo. Ripenso immediatamente al corteo silenzioso, nel pomeriggio, allo stabilimento dell’Eternit, presenza spettrale e minacciosa.
Mi immagino i ragazzi e le ragazze, giovani donne e uomini, persone più anziane, che vi andavano a lavorare in bicicletta, con la prima auto pagata a rate, ogni giorno per venti, trent’anni, puntuali sul posto di lavoro, troppo in ritardo per conoscere il male tenuto volontariamente nascosto da chi invece sapeva e non ha pensato ad altro che ai propri interessi economici.

Il programma del convegno è molto ricco e gli interventi tutti interessanti.

Ci accoglie il Sindaco di Casale Monferrato Giorgio Demezzi, il quale apre ufficialmente il convegno.
Si ribadisce da parte delle amministrazioni locali l’impegno a fare di Casale Monferrato un centro d’avanguardia nella ricerca e nella cura del mesotelioma pleurico, il cancro strettamente legato all’inalazione di fibre d’amianto, causa di molte vittime a Casale Monferrato e in misura minore, ma non per questo meno significativa, in altre città d’Italia, fra cui Bari, dove la più grande fonte d’inquinamento legato alla dispersione di fibre d’amianto è stato lo stabilimento Fibronit, nel cuore della città.
Purtroppo la ricerca scientifica per la cura del mesotelioma pleurico non è molto incoraggiata da investimenti economici. Nonostante il numero delle persone che contraggono questa grave patologia sia in aumento e il picco per l’Italia sia previsto fra qualche anno, i “casi” per incentivare la ricerca scientifica in questo ambito sono ritenuti ancora troppo pochi, in base alla logica dei numeri economici e dei dati statistici.
Gli operai che hanno lavorato con l’amianto, in passato, i loro familiari e i comuni cittadini, oggi, continuano ad essere offesi nella loro dignità di donne e uomini: i loro progetti di vita spezzati, i loro corpi afflitti non sono casuali incidenti di percorso o numeri nel calcolo delle probabilità, ma sono l’effetto di logiche di potere e di mercato, le stesse logiche che hanno portato coloro che hanno perseguito unicamente il proprio profitto economico a tenere all’oscuro della pericolosità dell’amianto, pur essendone a conoscenza, i lavoratori e i cittadini.
Secondo le stime dell’International Labour Organization (ILO) il bilancio mondiale delle vittime per l’esposizione professionale all’amianto è di almeno 100.000 all’anno, cui vanno aggiunti molti altri casi di patologie asbesto correlate per esposizione ambientale e domestica.
Nel 2000 i Paesi che avevano bandito l’amianto erano 18, nel 2010 55; nel 2000 in 66 Paesi si consumava amianto, nel 2010 in 39.
L’obiettivo del convegno di lotta Un mondo senza amianto è quello di redigere un documento mediante il quale avanzare delle istanze presso le principali istituzioni e organizzazioni europee e mondiali per l’ambiente, il lavoro e la sanità.
Bruno Pesce, presidente dell’Associazione Famigliari Vittime Amianto (AFeVA) di Casale Monferrato, portavoce per l’Italia, sottolinea l’importanza simbolica del processo Eternit che si sta svolgendo a Torino, nel quale i principali azionisti di controllo, il barone belga Jean-Louis De Cartier De Marchienne e lo svizzero Stephan Schmidheiny, sono accusati di disastro ambientale doloso permanente. È probabile che nel prossimo futuro si avvierà un processo bis per omicidio e questo riguarderebbe anche i lavoratori italiani impiegati presso gli stabilimenti Eternit in Svizzera.
Casale Monferrato è tristemente diventata un punto di riferimento per le altre cittadine, italiane e straniere, per le sperimentazioni di diversi protocolli su come affrontare la bonifica, per la diagnosi e la cura del mesotelioma pleurico.
Su circa 1200 casi di mesotelioma pleurico registrati in Italia, 40/50 sono a Casale M. e di questi l’80% è causato da esposizione ambientale alle fibre d’amianto.
Bisogna estendere la consapevolezza del rischio e della tragedia dell’amianto e ottenere giustizia per tutte le morti, a memoria di tutte delle morti.

I punti salienti del documento finale redatto al termine del convegno tenutosi a Casale Monferrato il 28 e il 29 Aprile 2011 sono:

1. Data la nocività dell’amianto per l’uomo è indispensabile e urgente eliminare dall’ambiente umano qualsiasi causa di dispersione delle sue fibre sottili;

2. Bisogna migliorare la qualità e la quantità dei dati epidemiologici relativi alla situazione europea, fortemente interessata negli anni passati dall’uso industriale dell’amianto;

3. È moralmente ingiustificabile l’attuale divario fra i Paesi che utilizzano l’amianto e quelli che lo hanno bandito dal proprio territorio nazionale;

4. Bisogna inserire l’amianto crisotilo nell’elenco dei materiali nocivi per l’uomo e vietarne l’uso commerciale presso le popolazioni, tenute volutamente inconsapevoli dei rischi e per questo ancora più vulnerabili;

5. Fare una mappatura mondiale delle zone più colpite da inquinamento ambientale dovuto all’amianto;

6. Sostenere la ricerca scientifica relativa alla prevenzione e alla cura delle patologie asbesto-correlate (diagnosi tempestiva, trattamento) e aggiornare i dati scientifici attuali;

7. Fare in modo che le agenzie regionali e nazionali supportino le spese di bonifica per le città colpite da inquinamento ambientale dovuto alla presenza di amianto;

8. Fare del processo di Torino, durante il quale si sono costituite oltre 6.000 parti civili contro la multinazionale Eternit, un simbolo iconico per la lotta in nome della giustizia delle vittime dell’amianto in tutto il mondo;

9. Prendere spunto dall’esperienza francese per l’istituzione di un fondo di risarcimento per le vittime dell’amianto, a prescindere dal tipo di esposizione, e conservare il diritto di avviare azioni penali contro i datori di lavoro, anche per coloro che abbiano ricevuto un indennizzo. Tale indennizzo dovrebbe essere equo e veloce, essere elargito in maniera efficiente e giusta e il fondo essere finanziato in primo luogo dalle contribuzioni delle aziende, delle multinazionali, delle società pubbliche e private che hanno tratto un beneficio economico a danno della salute di lavoratori e cittadini;

10. Promuovere nella Giornata Mondiale delle Vittime dell’Amianto una raccolta fondi per la ricerca scientifica, rivolgendosi in primo luogo agli interlocutori pubblici, in modo da migliorare lo stato attuale della scienza riguardo alle patologie asbesto-correlate, fra le quali la più grave è il mesotelioma pleurico, il cancro ancora oggi considerato inguaribile, ma non per questo incurabile.

Sono orgogliosa di aver fatto parte della delegazione dell’Associazione Familiari Vittime Amianto di Bari al convegno di lotta Un mondo senza amianto.
Il confronto delle testimonianze, tutte così diverse eppure così uguali nella tragedia vissuta, l’energia di tutte queste “vittime” che fortunatamente non si rassegnano e lottano insieme per migliorare le condizioni di vita e di lavoro di tutti, la cordialità dei casalesi che ci hanno accolto e ospitato in questi due giorni mi lascia una bella sensazione: qualcosa, insieme, si può e si deve cambiare perché la logica del profitto economico basata sullo sfruttamento dell’uomo sugli altri uomini e sull’ambiente che lo circonda non è affatto naturale e immutabile, deve cessare per dare spazio e rispetto alla comune umanità di ognuno.

Agata Mazzeo

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Pubblicato da admin il 3 Maggio 2011

Raccontare di un fatto quando questo è particolarmente doloroso, è difficile specialmente quando  rinnova una ferita ancora aperta,ma la difficoltà viene superata nel momento in cui la  sofferenza viene  esorcizzata o minimizzata in un sbrigativo quanto burocratico:

“la situazione è sotto controllo, dai rilevamenti effettuati non vi sono motivi di preoccupazione, certo ci possono essere sempre dei colpi di coda pregressi….”.

E’ quello che abbiamo ascoltato in una conferenza sullo stato dell’aria attorno alla fibronit dopo che era stato messo in sicurezza il sito, tenutasi nella Parrocchia San Sabino diventata poi la nostra sede e centro di ascolto della nostra associazione.

La  sofferenza, l’essere colpiti in quello che hai di più caro, per noi vittime degli effetti patologici dell’amianto ci è sembrata  ridotta ad uno sbrigativo resoconto che andava ad arricchire le statistiche e gli studi epidemiologici.

Ecco questo è il motivo per cui ci ripromettiamo di raccontare i problemi che sorgono nel momento in cui si scopre che la tua famiglia,viene colpita da un evento che stravolge completamente i tuoi progetti di vita ,scoprire che la tua compagna o compagno,la madre o il padre  dei tuoi figli ,ha un tumore,il mesotelioma pleurico, che “in letteratura ” allo stato attuale ha una prognosi infausta un modo diverso per dire che è inguaribile ma ,se non si perde la speranza, curabile.

L’associazione familiari vittime amianto si propone di combattere oltre che con la malattia,anche con il “nichilismo”, l’atteggiamento rinunciatario,di chi ha il dovere di darti delle “speranze” ed invece si limita a proporre soluzioni palliative alzando gli occhi al cielo.

Speriamo che queste note su questo blog  possano  aiutare chi si dovesse, malauguratamente, trovare nella stessa situazione.

Nel ripercorrere le fasi della malattia, essere d’aiuto per un “percorso di cura” che spesso chi dovrebbe indicarlo, il medico di base ,non è in grado di fare o peggio ancora non è in grado di coglierne i sintomi.

Speriamo che possano  sensibilizzare sulle patologie collegate all’amianto , la cui ricerca è affidata ad un numero esiguo di ricercatori ,che con i mezzi a disposizione, scarsi o nulli ,cercano di colmare il distacco che questa patologia ha rispetto ad altri tipi di neoplasie.

Fare in modo che i risultati , le sperimentazioni cliniche , non rimangono nell’ambito dei circuitì congressuali o dei “crediti formativi” ,ma che possano trovare applicazione per chi veramente ne ha bisogno : i malati ed i loro familiari.

Pubblicato da admin il 29 Aprile 2011

Casale Monferrato 28 aprile 2011

In occasione della 6a giornata mondiale delle vittime dell’amianto celebrata a Casale Monferrato il 28 aprile 2011, con la partecipazione di delegazioni provenienti da Stati Uniti, Brasile, Francia, Messico, Spagna, Svizzera, Italia, Gran Bretagna e da numerose regioni italiane, organizzazioni sindacali italiane  di altri paesi, si è approvato il seguente ordine del giorno:

  • data la nocività dell’amianto, è indispensabile e urgente eliminarlo completamente dall’ambiente umano.

  • In Europa, è stata creata una tragedia di immense proporzioni a causa dell’uso industriale dell’amianto. Come conseguenza, sono già avvenute centinaia di migliaia di morti. Si tratta di un dato sottostimato, poiché  le informazioni su questa tragedia umanitaria sono tragicamente incomplete.

Attualmente l’epidemia di malattie causate dall’amianto si è estesa ai paesi in via di sviluppo, che stanno continuando ad usare amianto. L’esistenza di un doppio standard tra paesi industrializzati e in via di industrializzazione è eticamente ingiustificabile e moralmente corrotta.

Vi è un imperativo morale ad avviare iniziative di tipo medico e scientifico per prevenire l’insorgenza di malattie causate dall’amianto. Molti cittadini sono a rischio di malattie, a causa della presenza di fibre mortali nei loro polmoni. La ricerca che riguardi la prevenzione deve avere la più elevata priorità. E’ necessario pervenire ad una strategia che riguardi la diagnosi precoce e protocolli terapeutici (per asbestosi e tumori causati dall’amianto) e che questa venga costantemente aggiornata.

  • Il cosiddetto “uso controllato” dell’amianto è semplice propaganda commerciale che imbroglia le popolazioni non informate e vulnerabili, incapaci di valutare i rischi che presentano tutti i tipi commerciali di amianto. E’ imperativo che il crisotilo (amianto bianco) sia incluso nella Convenzione di Rotterdam tra le sostanze per le quali è richiesto preventivamente un consenso informato da parte dei paesi che lo ricevono per importazione.

  • L’esposizione ambientale causata dall’estrazione di amianto e dai suoi usi costituisce un’altra catastrofe umanitaria che coinvolge la salute di questa e delle future generazioni. Nelle aree delle nostre comunità come Casale Monferrato e Bari, Italia, Corsica, Francia, Widnes, UK e Getafe, Spagna, permane un inquinamento diffuso nell’aria, acqua,  suolo e edifici.

  • Le comunità colpite  che stanno cercando di agire per attenuare gli inquinamenti da amianto devono ricevere e devono ottenere il sostegno delle Agenzie Internazionali, delle Autorità regionali e dei Governi nazionali: è essenziale identificare le aree che sono state inquinate da decenni di sfruttamento dell’amianto e mettere a disposizione i fondi necessari,  rendere disponibile le conoscenze tecniche che sono necessarie per affrontare in maniera esaustiva il lascito negativo dell’amianto.

  • Il procedimento giudiziario che si è svolto in UK contro la Cape Asbestos ed ora quello in svolgimento a Torino contro gli azionisti di controllo della multinazionale ETERNIT, rappresentano il simbolo concreto delle battaglie per ottenere giustizia da parte delle vittime dell’amianto.

Nel procedimento giudiziario in Italia, più di 6000 persone si sono costituite parte civile.

Questi procedimenti giudiziari mostrano l’importanza di assumere una prospettiva internazionale per quanto riguarda i diritti delle vittime e i crimini legati all’amianto determinati dalle multinazionali.

  • Tutte le vittime di malattie causate dall’amianto (quelle maligne e le altre) hanno il diritto di essere indennizzate, indipendentemente dal fatto che la malattia si sia determinata per cause lavorative, ambientali, domestiche o di altro genere.

In prima istanza, l’indennizzo deve essere reso operativo in tempi rapidi e deve essere di giusta entità. L’esperienza francese (FIVA) rappresenta un esempio di come questo può essere raggiunto.

Se viene dato avvio ad un fondo, questo deve essere finanziato da contributi che derivino da datori di lavoro privati e pubblici. In ogni caso, deve essere salvaguardato il diritto legale di procedere con cause civili o penali riguardo ai danni e alle responsabilità.

In conclusione, affermiamo che l’industria dell’amianto è una industria criminale, che ha esposto  grandi quantità di persone a rischi mortali pur di conseguire un profitto.

Domandiamo giustizia.

 

Redatto e firmato :

AFEVA Associazione Famigliari Vittime Amianto   –  Casale Monferrato   (Italia)

ANDEVA Association Nationale de defende des Victimes de l’Amiante      (Francia)

ABREA Associacao   Brasileira   dos  Expostos   ao  Amianto            (Brasile)

CILAS Centro de investigation Laboral  y  Asesoria Sindacal       (Messico)

ADAO Asbestos Disease Awareness Organization    ( Stati Uniti)

FEDAVICA Federación de Asociaciones de Victimas y Colectivos del Amianto   (Spagna)

CCOO Confederación Sindical de Comisiones Obreras        (Spagna)

Mutuelles de France Federation des mutuelles de France       (Francia)

AFVA Associazione Familiari Vittime Amianto –   Bari          ( Italia)

FBF Fondazione Bepi Ferro –      Padova  (Italia)

E & P Epidemiologia e Prevenzione  – Rivista dell’Ass.Italiana Epidemiologia (Italia)

SICUREZZA E LAVORO Sicurezza e Lavoro  –  Periodico       (Italia)

UNIA Unione Sindacale Svizzera    ( Svizzera)

CGIL Confederazione generale del Lavoro – Casale Monferrato (Italia)

CISL Confederazione Italiana Sindacato Lvoratori -Casale Monferrato (Italia)

UIL – ADA Unione Italiana Lavoratori  e Associazione Difesa Anziani – Casale M.(Italia)

CGIL -Milano Confederazione Generale Italiana Lavoro

CGIL-CISL-UIL Provinciale Alessandria e Regionale Piemonte

Comunità S.Egidio Firenze e Livorno

Associazione Vittime di Viareggio

Associazione Vittime “Moby Prince” Livorno

Associazione Vittime Legami Speciali – Thyssen Krupp Torino

Comitato ex lavoratori  tessitura SIA Grugliasco e Torino








 

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Pubblicato da admin il 27 Aprile 2011

 

Il 28 Aprile 2011 ricorre la 6° giornata mondiale delle vittime dell’amianto,questa giornata è stata proposta nel 2005 dall’ ABREA (Associazione Brasiliani Esposti Amianto) proprio per ricordare le persone vittime di questo materiale.
Nello stesso anno, in occasione della Conferenza Europea sull’amianto tenutasi a Bruxelles, tale proposta è stata assunta e ribadita anche in questa Sede e ne ha stabilito la commemorazione il 28 Aprile di ogni anno, in quanto concomitante con la ‘Giornata Mondiale per la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro’.
Quest’anno la nostra associazione parteciperà con una delegazione a Casale Monferrato alla manifestazione “ UN MONDO SENZA AMIANTO convegno di lotta e celebrazioni in occasione della 6° giornata mondiale delle vittime dell’amianto” a cui parteciperanno delegazioni dall’Europa e da altri Continenti per un 28 aprile di lotta e solidarietà.,vi saranno delegazioni provenienti dagli Stati Uniti e Messico.
La manifestazione si concluderà con la formulazione di un appello,da presentare agli organismi internazionali ed alle nazioni, per la cessazione dell’uso dell’amianto nel mondo e per una politica attiva che faccia giustizia , per chi inconsapevolmente ha subito le gravi conseguenze dell’esposizione,incoraggi la bonifica ambientale e sostenga la ricerca sanitaria.

Lo scorso anno , insieme al Comitato Cittadino Fibronit, abbiamo organizzato una manifestazione rievocativa,da cui è emersa la proposta di una “task force” sanitaria.
Bari , con i suoi 212 morti per mesotelioma di cui 52 per esposizione ambientale,dati bari aggiornato al 2009  dal C.O.R. (Centro Operativo Regionale)  , è Città martire al pari di Casale Monferrato, Broni,Bagnoli,Mestre e chissà di quante altre città meno note ma che l’amianto accomuna con i suoi effetti patologici ,amianto la cui mancanza di percezione del rischio continuerà a provocare altre morti stroncando i progetti di vita delle persone.

Purtroppo a distanza di 1 anno la proposta di una task force è rimasta a livello di ipotesi, anzi c’è stato un arretramento con la paventata chiusura di Medicina del Lavoro del Policlinico di Bari.
Ancora oggi,infatti, rimane aperta la questione della struttura sanitaria barese soffocata dall’assenza di fondi e dalla mancanza di certezze determinate dal piano di riordino ospedaliero.
Le prestazioni dell’ambulatorio degli ex esposti all’amianto sono  a serio rischio per la mancata assegnazione dei fondi dedicati previsti dal precedente DIEF che non consente l’adeguamento di apparecchiature ormai obsolete, l’assegnazione di una borsa di studio ad un giovane medico specialista e la prosecuzione delle ricerche sui nuovi marcatori tumorali per mesotelioma
Tutto questo nella più totale incertezza sul mantenimento delle attività di controllo e tutela degli ex-esposti all’amianto, una situazione davvero difficile alla quale bisognerebbe dare risposte concrete.

Gli esposti all’amianto avrebbero bisogno di strutture adeguate e di una sorveglianza sanitaria puntuale in un contesto di tutela della salute costituzionalmente garantita secondo quelle che sono le migliori e più aggiornate risposte scientifiche .

Certamente la Medicina del Lavoro del Policlinico di Bari potrebbe soddisfare tali obiettivi se solo si volesse concretamente investire rafforzandone l’attuale impianto.
Chiediamo rassicurazioni per questi lavoratori e cittadini, che in Puglia sono migliaia, affinché non siano vittime due volte, prima per le incaute esposizioni all’amianto subite nei luoghi di lavoro e negli ambienti contaminati, oggi vittime delle istituzioni che non garantiscono loro una adeguata sorveglianza sanitaria.
L’Amministrazione Regionale, negli ultimi anni, ha segnato risultati importanti nella lotta ad ogni forma di inquinamento ambientale per la salvaguardia e tutela della salute dei cittadini e dei lavoratori esposti. L’impulso determinante al progetto del parco sulla ex Fibronit e la bonifica della spiaggia Torre Quetta a Bari, sono fra questi ma non bisogna abbassare la guardia,occorre che la costituenda “Commissione tecnico-scientifica interdisciplinare amianto per la redazione e l’attuazione del Piano Regionale Amianto Puglia” la cui prima riunione sarà fatta il 29 Aprile 2011, recuperi il tempo perduto.

Eliminando l’amianto attraverso rigorosi processi di bonifica dai siti, dagli ambienti e dai territori inquinati,in modo tale da non provocare altre vittime ,qualunque sia il tipo di esposizione ed altre famiglie non abbiano a piangere morti provocati da questo subdolo killer: l’amianto.

 

 

dati bari aggiornato

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Pubblicato da admin il 6 Dicembre 2010

Carissimi,
abbiamo il piacere di invitarVi al “Meeting del Volontariato 2010”, che si terrà nei giorni 11 e 12 dicembre 2010, presso la Fiera del Levante di Bari, Ingresso Orientale Pad.9 – 10

Anche la nostra Associazione sarà presente con un suo spazio espositivo in tale importante momento di raccolta e di confronto delle varie realtà che operano sul territorio nel grande ambito del volontariato e della solidarietà verso gli altri,divideremo  lo stand 32 con l’associazione “Butterfly” che si occupa di assistenza domiciliare,terapie del dolore e cure palliative,  presieduta dal Dr. Ferruccio Aloè.

La vostra  presenza, particolarmente gradita, sarà per noi un significativo gesto di vicinanza morale agli scopi di prevenzione e cura della popolazione e bonifica del territorio  da noi perseguiti attraverso l’ opera di sensibilizzazione sugli effetti patologici dell’amianto.

Vi sappiamo sensibili a tali problematiche e partecipi del nostro comune impegno, che non è solo assistenziale, ma culturale, per diffondere nei cittadini la conoscenza e il significato della prevenzione, per sollecitare  le Istituzioni a coordinare  una “task force” sanitaria per avere una maggiore possibilità di cura del mesotelioma.

Sarà anche un’occasione per confrontarci e dibattere insieme in un percorso di arricchimento reciproco.

Vi ringraziamo fin d’ora per l’attenzione, la solidarietà e  l’impegno che vorrete dedicarci.

Pubblicato da admin il 5 Novembre 2010

Abbiamo chiesto ad uno dei ricercatori più impegnati il Dr.  Luciano Mutti Presidente del Gime (Gruppo Italiano Mesotelioma) di fare  un rapido excursus  sulla malattia e lo stato dell’arte della ricerca sul mesotelioma tutto ciò affinchè questa malattia diventi sempre più curabile.

Le proprietà dell’amianto sono note fin dai tempi delle più antiche civiltà che ne hanno sempre fatto largo uso.

Plinio il vecchio riportò la circostanza per cui gli schiavi assegnati al lavoro nelle miniere di amianto avevano problemi di salute assai più frequentemente degli altri schiavi.

La prima evidenza di due stati patologici  assai probabilmente riconducibili al mesotelioma avvenne nel 1769,  attribuita al medico francese Joseph Lieutad che praticò 3000 autopsie (fig 1) mentre a E. Wagner nel 1870 viene attribuita la prima definizione di mesotelioma maligno come entità patologica distinta.

Fig 1

La rivoluzione industriale portò ad un grande aumento dell’utilizzo dell’ amianto nel corso del 18° e 19° secolo massicciamente utilizzato nelle macchine a vapore, fulcro tecnologico di quella rivoluzione.

Eppure l’esistenza del mesotelioma pleurico fu  posta in dubbio sino agli inizi del 19° secolo quando qualche relazione tra i danni alla salute e l’esposizione di fibre di amianto divenne progressivamente più evidente.

Purtroppo quegli anni vedevano la grande prevalenza delle Tubercolosi come principale malattia respiratoria e la conseguente fibrosi polmonare e pleurica confuse a lungo i medici che in corso delle autopsie interpretavano come cicatrici tubercolari le fibrosi pleuropolmonari da asbesto  e lo stesso mesotelioma.

Solo nel 1930 si cominciò a correlare casi di fibrosi polmonari con l’esposizione ad amianto.

Purtroppo col passare degli  anni, con lo scoppio delle  due guerre mondiali,  la richiesta e  l’utilizzo di amianto  aumentarono vertiginosamente.

L’amianto fu utilizzato massicciamente nelle navi, negli edifici e nella quasi totalità delle armi utilizzate in quegli anni.

Da qui cominciò un progressivo, sempre più esteso utilizzo civile di amianto: edifici pubblici (scuole ad esempio )  e privati e  in un’ ampia gamma di oggetti d’uso comune.

Eppure solo nel 1960 Wagner e collaboratori riportarono 47 casi di mesotelioma osservati nel corso dei cinque anni precedenti in una parte del Sud Africa dove esistevano piccole aziende che trattavano amianto.

Molti dei deceduti avevano avuto una esposizione ad amianto di tipo professionale (tra questi un ferroviere) molti anni prima; alcuni avevano giocato da bambini su cumuli di amianto depositati nei pressi delle aziende, uno era vissuto nelle immediate vicinanze di una fabbrica che utilizzava l’ asbesto.

Il 1965 costituisce comunque la data in cui la comunità scientifica internazionale suggellò definitivamente l’ esistenza di effetti cancerogenetici dell’ amianto: infatti nel 1965 furono pubblicati pubblicati gli atti della Conferenza organizzata nel 1964  dalla New York Academy of Sciences sugli effetti biologici dell’ asbesto. ( Annals of New York Academy of Sciences 1965)

Nel frattempo, purtroppo negli Stati Uniti, si stima che tra il 1940 ed il 1979 27.5 milioni di persone furono esposte alle fibre di amianto per motivi lavorativi.Ora ci troviamo quindi ad affrontare quella che è stata definita “Epidemia Europea di Mesotelioma pleurico; J. Peto, 1999) con pochissime arme efficaci dovute ad una troppo incompleta conoscenza dei meccanismi biomolecolari che determinano la comparsa e lo sviluppo di questa neoplasia.

Proprio queste conoscenze hanno, invece, permesso grandi passi avanti nella terapia di altri tumori (come quelli della  mammella, del colon, dell’apparato urinario e delle leucemie/linfomi) di cui una significativa parte è attualmente trattata con farmaci che inibiscono meccanismi molecolari scoperti soprattutto negli ultimi 15 anni.

Non c’è quindi dubbio come le stesse conoscenze vadano rapidamente acquisite anche sui meccanismi biomolecolari dei tumori da amianto ed in particolare del Mesotelioma Pleurico. Unico strumento per raggiungere lo scopo di disegnare nuove più efficaci terapie ,  Insomma, ci troviamo di fronte ad una grande sfida per la ricerca.

I principi che hanno condotto la ricerca del nostro gruppo come degli altri teams di ricerca sul Mesotelioma nel mondo sono stati in gran parte mutuati dai filoni di ricerca precedentemente condotti per lo studio di neoplasie a maggior incidenza e stanno lentamente l’ampio divario di conoscenze tra il Mesotelioma pleurico (in particolare) e gli altri tumori.

In particolare ci siamo concentrati sullo studio di come aumentare la sensibilità delle cellule tumorali di Mesotelioma  ai più comuni farmaci antitumorali usati per questa neoplasia e a come ridurre o eliminare la caratteristica resistenza di tutte le cellule tumorali (in particolare in quelle di Mesotelioma) alla morte cellulare (necrosi) o alla morte cellulare programmata (apoptosi).

Per comprendere meglio queste caratteristiche considerate come validi bersagli terapeutici occorre qui ricordare i meccanismi più accreditati come responsabili della trasformazione delle cellule pleuriche normali in cellule di mesotelioma (cellule mesoteliali)

Le fibre di amianto esercitano la loro capacita’ di  cancerogenesi   essenzialmente attraverso tre principali meccanismi:

a)      Rottura dei cromosomi con azione meccanica che porta ad un radicale stabile mutamento dell’ “assetto” genico delle cellule mesoteliali per cui queste cellule finiscono con l’esprimere più geni che portano all’ aumentata proliferazione e alla resistenza agli stimolo normalmente in grado di uccidere le cellule.

b)     Danno genetico dovuto allo stress ossidativo legato al ferro contenuto nelle fibre di amianto. Questo tipo di danno ossidativo conduce ad una anormale espressione genica analogamente all’azione meccanica descritta precedentemente.

c)      Proliferazione delle cellule mesoteliali danneggiate che favorisce la selezione di cellule mesoteliali anormali, resistenti agli stimoli tossici e che rappresentano il primo passo verso la lor trasformazione in cellule tumorali.

d)     La capacità da parte delle fibre di asbesto di indurre fattori di crescita con l’attivazione di specifici segnali biochimici di resistenza alla necrosi ed all’apoptosi rappresentano un ulteriore, cruciale meccanismo di trasformazione neoplastica delle cellule mesoteliali (Fig 2)

Da queste considerazioni generali sui meccanismi di cancerogenesi è facile comprendere come la nostra attenzione si sia concentrata  sui segnali biochimici considerati in grado di aumentare la resistenze delle cellule agli stimoli tossici e di favorirne, come evento, finale la comparsa di cellule neoplastiche attraverso lo stato di cellule trasformate dall’ esposizione ad amianto. La “trasformazione” quindi, come stato intermedio che prelude, attraverso la progressiva acquisizione di resistenza alla morte cellulare, alla formazione di cellule tumorali indotte dall’ esposizione  all’amianto.

Risalgono a circa 10 anni fa i  nostri primi dati che ci hanno indotto a concentrarsi sul rilascio dei fattori di crescita  e l’attivazione dei relativi segnali biochimici come un  meccanismo cruciale nella cancerogenesi del Mesotelioma.

Nel 2001 il nostro gruppo pubblicò infatti il primo articolo sulla prestigiosa rivista Proceedings of National Academy of Science (PNAS)  su una serie di esperimenti che dimostravano come in un modello di co-cancerogenesi virus/amianto, le cellule mesoteliali e di mesotelioma producevano elevate quantità di fattore di crescita chiamato Hepatocyte Growth Factor (HGF) ben noto come in grado di contribuire alla sopravvivenza delle cellule esposte a stimoli tossici di varia natura.

A questo primo lavoro che apriva nuove prospettive verso lo studio dei segnali biochimici indotti dai fattori di crescita nella comparsa e progressione del Mesotelioma pleurico.

In particolare da alcuni anni proprio lo studio del segnale proliferativo  si è progressivamente sviluppato ed è stato estensivamente studiato sia  dal nostro che da altri  gruppi nel mondo.

In particolare la nostra attenzione si è concentrata su segnali  biochimici che vedono coinvolte alcune proteine la cui attivazione gioca un ruolo essenziale nell’aumentare la sopravvivenza delle cellule normali esposte ad agenti tossici e/o cancerogenetici

  • PI3K/AKT.  L’attivita di PI3K è ben nota come in grado di attivare una proteina definita AKT  tra i quali principali effetti biologici viene considerata cruciale al capacità di conferire alle cellule maggiore resistenza agli stimoli tossici. L’attivazione di questa proteina è significativamente legata all’azione di  HGF così come di altri fattori di crescita come il Platelet Derived Growth Facor (PDGF) ed il Vascular Endothelial Growth Factor  (VEGF) il cui rilascio da parte delle cellule di Mesotelioma associata alla presenza dei rispettivi recettori sulle stesse cellule è stata ampiamente dimostrata   (Fig 2)

La ricerca si è quindi concentrata sul ruolo di AKT sia nelle cellule mesoteliali coltivate sperimentalmente esposte ad amianto sia nelle cellule di Mesotelioma.

Sin dai primi esperimenti è risultato evidente come in effetti le fibre di amianto fossero in grado di indurre attivazione di AKT  (Fig 3) e come questa attivazione fosse significativamente responsabile del processo di trasformazione e resistenza alla tossicità esercitata dalle fibre. Infatti l’ utilizzo di inibitori sperimentali di AKT era in grado di indurre nuovamente tale tossicità.

Quindi AKT è stata considerata una proteina chiave nel processo che porta alla selezione di cellule mesoteliali tumorali dopo esposizione a fibre di amianto.

Il passo successivo è stato quello di identificare un metodo potenzialmente applicabile nella pratica clinica  che fosse in grado di indurre lo stesso effetto inibitorio di AKT   nelle cellule di Mesotelioma.

L’attenzione si è quindi nuovamente concentrata sui fattori di crescita in grado di attivare AKT e sull’identificazione di specifici inibitori del  loro effetto su questa proteina.

In particolare l’intensa espressione del recettore per PDGF (PDGFr) sulle cellule di mesotelioma ha suggerito l’utilizzo di uno specifico inibitore degli effetti biologici indotti dall’interazione tra PDGF e PDGFr.

La disponibilità sul mercato sul mercato un farmaco (il cui principio attivo è Imatinib Mesilato, nome commerciale, Gleevec®),  in grado di interferire con il legame PDGF/PDGFR  ha quindi indotto la ricerca ad testare quale effetto l’Imatinib  fosse in grado di esercitare sull’ attivazione di AKT.

Si è così dimostrato come Imatinib Mesilato sia in grado di indurre selettiva inibizione dell’attivazione di AKT ed anche un assai significativo aumento della sensibilità ad alcuni farmaci chemioterapici come la Gemcitabina.

Questo insieme di dati in vitro ha quindi giustificato l’utilizzo del’associazione Gemcitabina/Imatinib anche su animali da esperimento cui era stato sperimentalmente indotto un mesotelioma umano.

Il trattamento di questi tumori sperimentali ha indotto un significativo miglioramento della sopravvivenza degli animali testati con una riduzione o stabilità delle dimensioni del tumore  (Fig 5)

La logica conclusione di questi studi preclinici è stata quella di indurre  il mondo scientifico ed il nostro gruppo a valutare la concreta possibilità che questi risultati potessero e dovessero essere testati anche sui pazienti con Mesotelioma.

Inizialmente sono stati trattati pazienti con malattia assai estesa e refrattari ad ogni precedente terapia nel’ambito di una somministrazione definita “compassionevole”.

La capacità del trattamento di indurre risposte assai significative sia in termini di riduzione della massa tumorale che di miglioramento della qualità di vita nonché la percezione che questi effetti si ripercuotessero anche  su una più lunga sopravvivenza  (Fig 6), ha infine indotto di iniziare un’ ulteriore sperimentazione clinica su pazienti selezionati tra quelli con una mancata risposta alla chemioterapia o ripresa di malattia dopo una prima risposta alla chemioterapia (purtroppo condizioni pressoché costanti nei pazienti con Mesotelioma).

Fig 2.  Quando una popolazione di cellule mesoteliali è esposta alle fibre di amianto alcune di queste cellule  diventano resistenti agli agenti tossici e vengono  progressivamente trasformate ed indotte alla proliferazione inducendo la comparsa di cellule di mesotelioma.

Popolazione di cellule

3 gg dall’esposizione           30 gg                                    60 gg

AKT risulta  attivato nelle cellule mesoteliali trasformate dall’amianto dopo 60 giorni dall’ esposizione (Cancer Reserach, 2005)AKT

Fig3


Fig 4. Imatinib Mesilato è in grado inibire selettivamente AKT nelle cellule di Mesotelioma (Thorax 2007)


Fig 5. Nei topi trattati il tumore inoculato si riduce di dimensioni (A, C, D) e gli animali  trattati   vivono + a lungo (B) (Cnical Cancer Research, 2008)



A                                                                                     B


 


Fig 6. TAC/PET di una paziente trattata con Imatinib/Gemcitabina (in arancione la neoplasia)

A.    Condizioni basali;  B. Dopo trattamento

Altri studi finalizzati al’inibizione di altre proteine responsabili della sopravvivenza e progressiva trasformazione delle cellule mesoteliali sono state identificate  Altri segnali

  • Lo stesso metodo sperimentale utiizzato per  AKT è stato utilizzato, ad esempio, per un altra proteina denominata Nuclear Factor KB (NFKB)  la cui attivazione nelle cellule mesoteliali   da parte  delle fibre di asbesto e la spontanea attivazione in quelle di mesotelioma induce un’aumentata resistenza a stimoli  tossici di vario tipo

L’inibizione della sua attività  sia con un inibitore sperimentale utilizzato su colture cellulari di mesotelioma e successivamante con farmaco specifico   il cui principio attivo è  Bortezomib (Velcade®) hanno dimostrato un’intensa attività citotossica in vitro ed antitumorale in animali cui era stato indotto sperimentalmente il mesotelioma (Clinical Cancer Research, 2007)

Quindi, analogamente a quanto avvenuto per gli inbitori di AKT e Imatinib, anche Bortezomib è stato testato in un protocollo sperimentale a livello europeo per i pazienti con mesotelioma chemioreresistente o recidivato dopo la prima chemioterapia.

I risultati, sono attualmente in fase di pubblicazione e  mostrano una significativa efficacia anche di questo trattamento.

Questo insieme di dati sperimentali rappresentano un eccitante modello di  ricerca e terapia transazionale (dal laboratorio alla sperimentazione clinica) che nel mondo sta diventando l’approccio che sta cambiando tutto il nostro modo di studiare e curare le malattie ed in particolare il cancro.

La ricerca preclinica e clinica non consentono ancora di giungere alla definizione di nuove standardizzate terapie per il Mesotelioma ma i risultati ottenuti negli ultimi anni certo rappresentano ben più di un indizio che lo studio estensivo dei meccanismi molecolari cambierà la prognosi  di questa neoplasia tristemente nota come essere assai aggressiva e resistente ai trattamenti chirurgici, radio- e chemio- terapici.

Rovesciando frasi prese in prestito diremmo “ottimismo della ragione”, non illusioni ma dati oggettivi che dimostrano che anche per questo cancro i passi avanti ci sono già stati e siamo in una nuova era del suo trattamento.

Riteniamo però opportuno chiudere con un invito che ci deriva da altri dati sperimentali.

L’amianto è stato largamente utilizzato nel nostro Paese. Per decenni.
La tragica storia esemplare dell’amianto è corsa spedita nel nostro paese fino al 1994 (anno di bando dell’amianto nel nostro paese), trenta anni dopo la prova provata della sua pericolosità.

Se sono stati necessari 30 anni per correre ai ripari nei confronti delle esposizioni lavorative quanti ne saranno necessari perché il legislatore consideri tutte le esposizioni (anche quelle minime e apparentemente occulte) come in grado di indurre neoplasie pleuropolmonari ?

Eppure le evidenze scientifiche  in questo senso sono sempre più numerose ed inquietanti.

Non solo nei laboratori dove è evidente in modelli di cancerogenesi  la pericolosità di basse concentrazioni di amianto per trasformare  le cellule mesoteliali (le alte concentrazioni uccidono invece tutte le cellule senza trasformarle) ma anche casistica di pazienti ammalatisi di mesotelioma per esposizione minima più o meno prolungata .(Fig7)


Fig 7. Da Reggio Calabria ci giunge questa segnalazione di un Phon professionale costruito fino al 1991   e contenente asbesto (nella foto). Il barbiere che lo utilizzava è morto per un mesotelioma pleurico.

La ricerca deve curare le malattie ed il mesotelioma in particolare,  ma anche indicare alle istituzioni come recepire  le evidenze scientifiche  per prevenire una lotta ancora difficile e dolorosa.

Su questo fronte  c’ è forse ancor più da fare che nei nostri laboratori.

Luciano Mutti

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Pubblicato da admin il 19 Ottobre 2010

Oggi ricorre l’anniversario di Angela, cofondatrice della nostra associazione , testimone consapevole del  mesotelioma pleurico contratto per inquinamento ambientale . La sua unica “colpa”  aver vissuto nella” zona rossa ” che circonda la Fibronit di Bari .

La vogliamo ricordare con le parole della orazione funebre scritte e lette dalla figlia.

Ora che non ci sei più su questa  terra e sei volata in cielo,

cara e dolce madre,

la tua assenza ci svuota, tutti quanti.

Quante persone ti hanno voluto bene in questi anni di vita, quanto amore hai distribuito lungo il tuo percorso, con quanti doni hai contribuito a migliorare tutti noi.

Sei una donna straordinaria, mammina mia, l’unica che con un sorriso riusciva a smuovere anche il cuore più gelido.

Io so dove sei adesso. Ti trovi in un posto magico, avvolta dal tepore del sole che irradia la tua pelle candida. Sei giovane e bella ora, la tua bellezza è luminosa e accecante e sei stesa su una prateria immensa, colma  di fiori.

Ci sono fiori dappertutto, di ogni colore possibile e anche dei colori che ancora non conosciamo.

I tuoi occhi sono semichiusi, le tue guance rosee e accaldate, come quelle di chi si è appena risvegliato da un sonno lungo e intenso.

Aspetti ancora un po’ e ti godi lo scenario splendido idilliaco che ti circonda.

Ora sei energica,  nulla ti è impossibile.

Balzi in piedi con il volto sereno.

Cammini a piedi nudi affondando sempre più velocemente nell’erba fresca e rigogliosa, immersa  nel  refrigerio  che essa ti procura.

Il tuo passo si fa sempre più rapido, sempre di più, sempre di più e… inizi a correre, felice, spensierata.

Ridi di gusto senza un perché, la natura ti sorride anch’essa, il cielo è il più azzurro che tu abbia mai visto, zefiro sfiora dolcemente il tuo corpo, mentre agile si muove. Salti, rotoli, ti fermi e respiri… respiri a pieni polmoni.

L’aria che ti attraversa è limpida e pura. È fredda, tersa e incontaminata.

La tua paura è svanita,  la tua diossina è stata finalmente schiacciata, la tua rabbia vendicata.

Ora non sei più in gabbia, ti sei svestita della corazza che eri obbligata ad indossare e che t’impediva di vivere.

Danzi raggiante con un leggero abito di chiffon rosa e canti romantiche parole francesi.

Puoi continuare all’infinito, non hai scadenze a breve  termine.

Il tempo non esiste e l’unica cosa che scorre ineluttabile è la tua eterna felicità.

Per mia madre.

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Pubblicato da admin il 18 Settembre 2010

La situazione di rischio nella Città di Bari,dovuta alla presenza di una fonte di grave inquinamento ambientale quale il sito  fibronit , nel corso del tempo non è stata percepita da chi doveva  e poteva  evitarne la dispersione delle fibre facendone una sorta di “Sacrario ambientale”.

La sensibilità di un giovane scrittore, Mario Desiati, in quest’articolo del 2004, pubblicato dal quotidiano “la Repubblica” percepisce la pericolosità degli effetti patologici dell’amianto facendo proprie le sensazioni che le persone coinvolte  nella malattia provano nel momento della lotta contro l’asbestosi ed il mesotelioma pleurico , immaginando  una bonifica che tarda ad arrivare auspicando  la scomparsa delle malattie asbesto correlate e la costruzione di un parco che faccia rinascere il luogo :

Era soltanto una fila di capannoni grigi, con le pareti alte simili a quelle delle rimesse per autotreni, le facciate pentagonali incutevano nell’ aria quell’ idea di perfezione geometrica, senso dello spazio post-moderno e “architettura della rinnovazione”. Lungo il corso del tempo si erano fatte consistenti le misteriose morti per asbestosi e mesotelioma pleurico. Cadevano come mosche. Prima una manciata di persone, un caso raro, ma poi quella manciata divenne una dozzina e poi divennero centinaia. Il mostro di pentagoni e calcestruzzo si stagliava sulla cortina di una strada vuota, che dopo le sette di sera in inverno diventava la pista di bulli e pazzi scatenati.
Le studentesse del Politecnico non uscivano di casa per non fare brutti incontri e grandi cani sorvegliavano i condomini a ridosso della fabbrica. Ma quella fabbrica morì prima di tante altre morti strane e misteriose. Crisi economica, fine del ciclo produttivo, inutilità delle risorse, nuove prospettive di mercato, procedimento fallimentare, liquidatore e altre parole difficili. La fabbrica produceva cemento amianto, pulsava in quel centro periferico della città come una sanguisuga agonizzante. Succhiava sangue e restituiva vuoto mortifero. Ma la fabbrica morta non cessò di inquinare, anzi da morta divenne ulteriormente pericolosa e mortale, la sua carcassa non fu sepolta in una perentoria bara di cemento, ma imputridì sotto il cielo arrugginito delle primavere baresi, la sua lenta dipartita non fu accompagnata da nessun cattivo odore, ma come tutte le cose peggiori e come la morte stessa, nulla arrivava con il preavviso.
La nausea e i capogiri di chi si curava con il cisplatino per non darla vinta a quella mostruosa carogna industriale era la piccola-grande Resistenza della città di Bari. Chi parla di vittorie, resistere è tutto, diceva quel disilluso di Reiner Maria Rilke. E il cisplatino è resistenza. è una cura che conoscono bene anche tanti tarantini, tutta quella gente che vivendo a Tamburi si è ammalata ai polmoni e adesso convive con la lotta disperata per sopravvivere. Ma torna alla carcassa. C’ era lo sfondo di una città operosa e un po’ incosciente che viveva respirando particole, fanghi, materiali di risulta, cemento amianto, fibre… appunto era Fibronit. Laddove c’ era tutto questo oggi c’ è un discreto prato fiorito, coltivano alti alberi di magnolia che in primavera profumano e fanno petali e polline. L’ odore si spande per i quartieri circostanti, la gente che si ammala di quelle brutte malattie impronunciabili è sempre meno, sempre di meno, quasi sparisce, e sparisce anche il cisplatino, si sente che a Via Caldarola in primavera l’ aria è dolce di quelle magnolie scoppiate per terra con le api che sono tornate dentro la città e non si vedevano da almeno quattro lustri. Hanno bonificato quel grande tumore di amianto che assorbiva dentro di sé una parte sana della città. Quel tumore è stato rimarginato, come un miracolo piuttosto che come un’ operazione chirurgica. A volte è questione di volontà, di forza di volontà, vale solo quella e per quello che oggi lì ci sono i fiori e c’ è la vita. Vorrei raccontare tutto questo, vorrei raccontare di una città che ha iniziato a fare i conti duramente e seriamente con il concetto di archeologia industriale e riqualificazione ambientale (molto più che urbana). Vorrei raccontare del capitolo triste, ma ampiamente chiuso della Fibronit. Invece quel capitolo è ancora aperto. Tragicamente aperto. Tutto questo ancora non c’ è stato, ma che ha la speranza di esserci dopo la sentenza del giudice unico di Bari che pochi giorni fa ha condannato i primi responsabili della fabbrica di morte. Eppure sono ancora scosso. Spaventato, con gli occhi sgranati ogni volta che sento parlare della Fibronit. Fabbricone dismesso e poi bonificato a capocchia. Non riesco a descrivere lo stato d’ animo con cui oggi, estate 2004 seguo la vicenda Fibronit. è uno stato d’ animo di incredulità e stupore, quello di chi ha abitato per alcuni anni a poche centinaia di metri dalla fabbrica della morte per eccellenza nel territorio barese e che in fin dei conti non ha mai saputo molto. Disincanto e incoscienza per chi ha vissuto due anni e mezzo in Via De Deo, una delle ultime traverse di Via Lattanzio, confine della “zona rossa Fibronit”, come tutti gli studenti fuori sede non troppo in centro per risparmiare qualche lira, ma neanche troppo in periferia giusto per non essere troppo lontano dalla Feltrinelli vecchia di Via Dante e la Ricordi di Via Sparano. Dunque il mondo. Con il mio amico Alberto andavo spesso in via Caldarola, nella casa di una nostra compagna di liceo, dentro quella strada deserta e polverosa ci camminavamo addosso con la strizza di dover fare i conti con qualche scoppiato che puntualmente ci chiedeva spiccioli e sigarette (rigorosamente all’ ora di cena). Si andava a giocare a calcio dietro il ponte di Via Amendola e sfottere un tizio che si segava davanti al “Salottino”, si spendevano i soldi dei nostri genitori alla carambola e le birre pisciate del Cinese di Via Capruzzi. Per quei stranissimi anni universitari ho vissuto in piena “zona rossa” senza mai sapere nulla, senza sospettare che razza di bomba era innescata a pochi metri da dove vivevo. Credevo che quei capannoni fossero rimesse in disuso e basta, ignoravo perfettamente, “sopravvivevo” nel mondo di chi non si pone interrogativi, con l’ incosciente sicurezza di chi non ha nulla da chiedere. Eppure quei suoli contenevano e contengono qualcosa come settantamila metri cubi di materiali e scorie in fibrocemento amianto, roba tra l’ altro in pessimo stato di conservazione. Senza dimenticare le grandi quantità di oli esausti altamente pericolosi per l’ ambiente e le falde. Il tutto era ed è lì a due metri e mezzo sotto terra. In più c’ erano e ci sono cinquemila metri quadrati di tetti in amianto, polveri di lavorazione sotto i capannoni ed altri residui di materiali. Di tutto questo tanta gente sapeva pochissimo, i media erano ancora cauti nonostante quella fabbrica avesse chiuso i battenti nel 1986. I politici ancora di più. Qualcuno ha parlato di clima omertoso per l’ emergenza amianto a Bari. Ne sentii parlare per la prima volta dentro un treno della ferrovia Sud-est, lo presi a volo mentre trafilato arrivavo col borsone nella stazione SE, c’ era un’ aria brutta, con una tramontana rigida, un pendolare magro con gli occhi un po’ fuori e la testa glabra con quasi noncuranza mi gelò il sangue, “sai che quando c’ è questo forte vento, questo è un vento di morte ?”. Il perché e percome me lo raccontò in poche parole, la vicenda di un pendolare che tutti i giorni guardava dal finestrino il mostro in fibracemento svettante nel suo orizzonte quotidiano. Poi vennero i giornali locali che davano con i grandi quotidiani nazionali, che forse Bari era diventata una città ancora più importante, si parlava sempre di più di argomenti tabù, finalmente si potevano dire anche le cose che prima non si potevano dire. Iniziarono le inchieste della magistratura (e oggi le prime condanne), iniziai a sentir parlare del cisplatino, della gente che lo usava anche a Bari come a Taranto. Che quella era resistenza, senza vittorie per adesso, ma sempre resistere.

Mario Desiati

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Pubblicato da admin il 14 Settembre 2010

Mi chiamo Agata Mazzeo.

Apparentemente non ho alcun legame con l’amianto né con le patologie ad esso correlate.

Apparentemente, già.

In realtà la pericolosità dell’amianto quasi mai appare, in maniera lampante, evidente.

La pericolosità, piuttosto, si fa tanto più forte quanto più è nascosta, invisibile, subdola.

In realtà, penso di avere un legame forte con le problematiche riguardanti l’amianto, o meglio, l’esposizione all’amianto.

Mi sono avvicinata all’Associazione Familiari Vittime Amianto di Bari in occasione della ricerca per la tesi di laurea in Antropologia Sociale dei Saperi Medici.

Ho studiato a Bologna, ma sono tornata “a casa”  per approfondire la conoscenza di una realtà atroce e lacerante, una realtà quotidiana che interessa una città intera.

Una quotidianità fatta di visite mediche, cicli di chemioterapia, interventi chirurgici, viaggi lontani, dolore e perdite.

Io ho avuto la possibilità di raccogliere ,discretamente ,solo alcune delle storie legate alla città di Bari, ma tante, purtroppo se ne possono trovare sparse per l’Italia e per il resto del mondo.

Ciò che mi ha spinto ad indagare l’esperienza della malattia provocata dall’esposizione ambientale all’amianto, nel caso particolare dell’amianto aerodisperso a partire dal “sito Fibronit”, è stata l’urgenza avvertita di rendere visibile ciò che troppo spesso resta invisibile nei diversi discorsi sulla questione amianto.

Invisibili spesso rimangono gli uomini e le donne che hanno pagato sulla loro pelle il prezzo di dinamiche di potere basate sulla logica del profitto in base alle quali, negli anni, si sono stabiliti parametri, adottate irrisorie misure di sicurezza, avviate attività edilizie sfrenate in nome di una presunta innocente ignoranza della pericolosità derivante dall’esposizione delle fibre d’amianto  per l’uomo, nonostante i primi studi scientifici a riguardo risalgano alla seconda metà dell’Ottocento.

Nella nostra società fortemente individualistica l’uomo è solo e la solitudine diviene ancora più difficile da sopportare nei momenti di sofferenza. Essa troppo spesso sfocia nell’invisibilità , e chi soffre muore un po’ alla volta, in isolamento.

L’Associazione Familiari Vittime Amianto di Bari cerca di contrastare l’isolamento, l’abbandono.

Pian piano sta creando una rete di relazioni sociali forte e diffusa, occasioni di formazione e informazione volte a sensibilizzare l’opinione pubblica sulla questione dell’amianto, a Bari e non solo, a fornire delle indicazioni pratiche a coloro che s’imbattono nella più grave delle malattie provocate all’esposizione all’amianto: il mesotelioma pleurico.

Cerca di rendere visibile e condivisibile ciò che troppo spesso si vuole tenere nascosto e per questo sembra non esistere. Quando si parla di numeri, casi, probabilità si parla di uomini e donne, madri e padri, più o meno giovani, più o meno in là con gli anni.

Essi esistono, con le loro vite, occupazioni, pensieri, sogni e angosce, e soprattutto con il dolore, indescrivibile e incomunicabile.

Non sapevano del rischio che hanno corso tutta una vita.

Qualcuno ha fatto in modo che non sapessero o che non avessero la consapevolezza tale per mettersi in guardia.

Chi avrebbe mai immaginato? Amianto, asbestosi, mesotelioma… malattie da fabbrica.

In Italia l’amianto è stato messo al bando dal 1992, eppure è ancora un po’ dappertutto.

Gli epidemiologi dicono che fra una decina d’anni ci sarà il picco delle morti in Italia provocate dall’esposizione alle sue fibre.

L’Associazione può essere un utile strumento per rendere la cittadinanza più attenta e sensibile a tale questione.

Io stessa, grazie ad essa, ho avuto la preziosa opportunità di incontrare persone che hanno speso le loro ultime energie per ribadire la necessità di agire insieme, di ritrovarsi, perché non si osi negare la forza che ancora si sprigiona da un corpo che non vuole rassegnarsi ad essere soltanto una vittima, ma che proprio attraverso il suo strazio vuole lasciare a chi resta un monito e un messaggio di speranza per il futuro.

Agata Mazzeo

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